icerbox Newman cieli by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Nel frattempo (nell’universo parallelo al di fuori della casa di Martin) Ben era stato licenziato. Quando ci pensava, immaginava il teschio di una mucca in un deserto inaccessibile: l’economia. Viveva di quel che aveva da parte e si candidava ovunque: lavori per cui non era qualificato e che non voleva, lavori in Vietnam e lavori a Cleveland, lavori che implicavano compromessi morali per cui si disprezzava già al momento della candidatura.

La sera prima dei colloqui, tornava nell’appartamento nel Queens per una notte di sonno, anche se non gli piaceva star lì da solo. Finiva per guardare fuori dalle finestre con la televisione accesa dietro di sé, desiderando di non aver smesso di fumare. E non dormiva. Non poteva dormire senza Kate. Dopo il colloquio, per un po’ di giorni si sentiva come se avesse già il lavoro ed era a seconda dei casi esultante o pieno di disprezzo per sé stesso. Una vita da Schrödinger, non sapeva chi era. Poi non otteneva il lavoro, ed era niente.

A Kate era stato commissionato un altro murale, doveva dipingere un picnic fra orsacchiotti per il figlio del cardiologo di Sabine. Ben la andava a trovare a casa del cardiologo e ascoltavano la radio mentre lavorava, poi tornavano insieme da Martin e si prendevano cura di Qued insieme e dormivano insieme. Quando Kate non c’era, Ben si sentiva spiacevolmente euforico, libero da qualche costrizione forzata, come se fosse stato maldestramente lanciato nello spazio. Aveva bisogno del peso di Kate o dei suoi capelli lunghi e scarmigliati o dei movimenti prescienti della sua mano mentre disegnava. Attraversava il mondo in modo così semplice, come un seme di soffione portato dal vento.

Negli spasimi di quel desiderio, le chiese di sposarlo. Era una mattina in cui José aveva portato Qued al parco e le spose per corrispondenza ancora dormivano. Ben e Kate stavano piantando le calendule nel giardino di Martin e Ben parlò, e aggiunse che non poteva comprare un anello in quel momento, ma presto avrebbe trovato un lavoro e avrebbe potuto. Kate disse che comunque gli anelli non le piacevano. «Mi sembra di avere qualcosa sulla mano». Ben rise e si alzò come se tutto fosse sistemato, e andarono dritti a chiedere una licenza di matrimonio senza neanche cambiarsi.

Accadde lì, al municipio – dove bisognava prendere un biglietto e aspettare che chiamassero il numero, sembrava un elegantissimo ufficio della motorizzazione; pavimenti di marmo e rovere lucido, ma a fine giornata eri ancora lì col biglietto in mano –, che Kate nominò di nuovo il sogno.

Cominciò con lei che chiedeva: «Hai mai sentito parlare di un poeta di nome William Shakespeare?»

Ben trasalì nel mezzo della fantasticheria matrimoniale e gli ci volle un attimo per mettere a fuoco la domanda. Poi disse: «Non mi pare. Dovrei?»

«Non lo conosci? Un poeta del sedicesimo secolo?»

«Forse, non ricordo. Perché?»

«L’ho sognato».

«Ah».

Il suo ah era una nota desolata e critica, ma Kate sorrise. Disse: «Continua a riapparirmi in sogno. È come se fosse importante, ma l’ho cercato, è morto senza aver lasciato nulla di significativo».

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